giovedì 10 marzo 2011

Vicini di casa 1

Alcune persone appena le incontri già conosci il loro pensiero, il lavoro, per chi voteranno, quali gusti sessuali prediligono, mentre altri anche dopo 20 anni se sicuri che non riuscirai mai a capire nulla di  loro.
Arturo aveva la sfortuna di abitare accanto a uno di questi fumosi ectoplasmi. Si chiamava Cristoforo e in sei anni di vita vissuta come vicini di casa, sullo stesso pianerottolo, nulla aveva saputo di lui. Vive da solo con un cagnaccio, fumava quelle sigarette per signora lunghe. Non era di bell’aspetto per colpa dei pochi capelli e di una dentatura, ormai ceduta in più punti.
Arturo aveva provato di tutto per conoscerlo: avvicinarlo alle assemblee condominiali, invitarlo a cena o a prendere un caffè, inscenare un incidente domestico, ma l’entità per l’uno o per l’altro motivo gli era sempre sfuggito. In sei anni aveva ottenuto solo qualche scarno sorriso che aveva messo in mostra la malandata dentatura e qualche istantaneo saluto sempre accompagnato da secchi colpi di tosse, causati dalle sigarette o dalla cattiva disposizione a parlare.
Arturo era arrivato al punto di origliare e spiare i suoi movimenti, ma prima che l’ossessione divenisse mania decise di smettere ed adottare una nuova strategia. L’impenetrabile corazza aveva un punto debole: Cristoforo aveva un cane. L’idea gli balenò una sera d’inverno, mentre lo vide uscire per accompagnare il cagnaccio durante una quasi tormenta di neve coperto da un liso impermeabile, grigio scuro, l’unico – penso – che gli permetteva di mimetizzarsi tra le macchine parcheggiate. Arturo dalla finestre osservò per un secondo lo scena, poi rivolse lo sguardo verso il cane era uno di quegli orrendi bulldog francesi con lunghe orecchie da pipistrello e una spropositata testaccia, mal piantata su un piccolo corpo, che la natura nella sua misteriosa benevolenza aveva donato di una muscolatura possente, utile solo a portare in giro quel grosso capoccione bizzarro.
Arturo aveva già in testa il suo piano: lo avrebbe seguito e una volta trovato il giardinetto in cui portava a defecare l’orrenda creatura, l’avrebbe avvicinato , intrecciando un socievole rapporto  tra uomini con guinzaglio. In fondo cosa esiste di più piacevole che parlare in un parco, mentre tutt’attorno un orrida mandria di cani infesta l’aria di odori e gridi, o magari impunemente tenta di accoppiarsi sotto gli occhi della zitella e invidiosa pardroncina.
Esisteva solo un problema: Arturo non aveva un cane. Seppure l’idea lo facesse rabbrividire ne comprò uno. Dovette essere la vendita più veloce , che “Fuffi”, il negozio di animali dietro l’angolo avesse mai fatto. Alla ciccione della commessa domandò solo quale fosse che mangiasse e vivesse di meno tra quelli in vendita. La commessa sgranò gli occhi e senza nemmeno parlare indicò una specie di pulce isterica, che scodinzolava con la sua mezza coda al di là di un vetraccio sporco di tutto. Lo presi e scappai da quel negozio che puzzava di cibo per cani ed escrementi d’uccello, sicuro di aver fatto un grande errore.

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